GHINO DI TACCO

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Storia di un illustre bandito

La fama di Ghino di Tacco è legata al mito del bandito vissuto in Valdichiana tra il XIII e XIV secolo, protagonista di numerose vicende descritte anche da Dante e Boccaccio nelle opere più celebri della letteratura medievale.

Sebbene non vi sia alcun dubbio sulla reale esistenza di questo personaggio e sulla sua attività di brigante, rimane oggi ancora un mistero se i fatti tramandati e attribuiti a Ghino di Tacco siano stati veramente opera sua.

Di lui si sa che nasce nel territorio di Torrita, nel borgo della Fratta, presumibilmente nei primi anni ’60 del XIII secolo. Suo padre è Tacco, discendente della famiglia Monaceschi Pecorai. Questa, presente sul territorio della Valdichiana come attestato, tra riferimenti e annotazioni, da circa 90 documenti nelle Biccherne Senesi, si è insediata a Torrita tra il 1228 e il 1233. In quegli anni i cavalieri Piero Buciadro, con suo figlio Ugolino e Iacopo Monaceschi, da Montepulciano si stabiliscono a Torrita rispettivamente nel borgo e nelle località La Fratta e Guardavalle.

ALBERO GENEALOGICO

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La famiglia di Ghino di Tacco

Nel 1270 Ugolino Monaceschi muore, lasciando in eredità ai tre figli il possedimento de La Fratta. Si fanno allora sempre più frequenti i contrasti tra Ghino, Federigo e Tacco, e Iacopo da Guardavalle. Forse proprio per questioni legate all’eredità di quest’ultimo, scomparso tra il 1271 e il 1273, inizia tra la famiglia di Piero Buciadro da una parte, e i nipoti Tacco e Ghino dall’altra, una vera e propria faida che presto si trasforma in una guerriglia all’interno della cittadina torritese.

Nel 1277 Ghino incarica dei balordi di uccidere suo zio Tebalduccio, poiché aveva assalito e ferito Tacco, che invece, nello stesso anno, assalta e incendia il castello di Torrita – tanto per citare solo alcune delle scorrerie che Ghino e Tacco compiono al fine di estendere il proprio controllo sul territorio torritese. Il governo di Siena reagisce nel 1278 mettendo al bando Ghino e Tacco dal territorio e organizzando, a salvaguardia degli abitanti di Torrita, una difesa da possibili attacchi. Si tratta di preoccupazioni fondate, perché infatti l’anno seguente i due fratelli tentano ancora la conquista di Torrita, facendo uccidere Piero Buciadro e dando alle fiamme il castello. Ma le autorità senesi intervengono prontamente per ristabilire l’ordine e così Tacco e Ghino sono condannati a pena capitale per l’uccisione del nonno, oltre che al bando perpetuo dai territori della repubblica e alla confisca dei beni, tra cui il possedimento de La Fratta.

Da allora per i due banditi si apre un periodo di clandestinità, in cui trovano unico riparo tra i boschi. La vita del brigante errabondo, per Tacco, durerà per circa cinque anni: nel 1285 viene arrestato, sembra nei pressi di Torrita, e condotto a Siena di fronte al giudice Benincasa da Laterina, il quale ne conferma la condanna a morte. Tacco è giustiziato nell’ottobre 1285 in Piazza del Campo. Ghino lo vendicherà uccidendo lui stesso il giudice Benincasa, come spiega Dante Alighieri quando nel Purgatorio incontra quest’ultimo tra coloro che sono morti per morte violenta.

«Quiv’era l’Aretin che da le braccia fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte»

[Purgatorio, Canto VI, vv. 13-14]

I documenti attestano che a commettere i feroci delitti, tra cui l’omicidio del giudice aretino Benincasa, non sia stato Ghino, figlio di Tacco, bensì il fratello di quest’ultimo, ovvero Ghino di Ugolino. Lo stesso che nel 1297 si sarebbe impossessato della Rocca di Radicofani, dove è ambientata la novella che Boccaccio dedica a Ghino di Tacco.

«Ghino di Tacco, per la sua fierezza e per le sue ruberie uomo assai famoso, essendo di Siena cacciato e nemico de’ conti di Santafiore, ribellò Radicofani alla Chiesa di Roma, ed in quel dimorando, chiunque per le circostanti parti passava rubar faceva a’ suoi masnadieri».

[Decameron, Giornata decima – Novella seconda]

Nel Decameron si racconta che Ghino di Tacco, dopo aver rapito in un agguato l’Abate di Cluny, scopre che questi è diretto a San Casciano dei Bagni per curare dei problemi di stomaco. Quindi decide di occuparsi lui stesso della salute dell’Abate, facendogli servire per pasto solo acqua, vino e fave, fino alla completa guarigione. Nell’incontro fra i due, Ghino racconta la propria vita e i motivi che l’hanno portato a compiere tanti delitti, mentre l’Abate si rende conto della cortesia e dei buoni princìpi che in realtà animano il bandito. Per questo motivo, una volta tornato a Roma, e con tutti i suoi beni restituiti, l’Abate di Cluny intercede presso Papa Bonifacio VIII perché a Ghino vengano revocate le condanne e sia conferito il titolo di Cavaliere dell’Ordine degli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme.

Per quanto suggestivo sia questo racconto, non vi sono documenti che ne provano l’effettivo svolgimento. Si pensa piuttosto che si tratti di un espediente letterario utilizzato da Boccaccio per celebrare, all’interno della sua opera, i valori cortesi.

Insomma, le leggende che si sono rincorse negli anni e il caso di omonimia all’interno della famiglia Monaceschi Pecorai potrebbero aver causato l’attribuzione di tante avventure alla persona sbagliata. Tuttavia, ciò non toglie che tanti delitti furono realmente commessi per mano di Ghino di Tacco, personaggio dall’indubbio temperamento fiero e temerario, ancora oggi considerato tra i protagonisti della storia medievale italiana.

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Ghino di Tacco in persona sarà lieto di raccontarti aneddoti e leggende nel centro storico di Torrita di Siena.